Recensione: L’estate dei fantasmi
Titolo: L’estate dei Fantasmi
Autrice: Saundra Mitchell
Prezzo: € 14, 50
Pagine: 256
Editore: Giunti
Collana: y
Trama:
A Ondine, in Louisiana, non succede mai niente. L'unico fatto degno di nota risale a molti anni prima, quando scomparve misteriosamente Elijah Landry, un ragazzo del posto. C'è chi dice che sia affogato nel lago, chi sostiene che sia scappato. Iris e Collette, due amiche inseparabili, si preparano a passare l'estate dei loro quattordici anni fra noia e sogni di fuga dal monotono paese. Iris, trascinata al cimitero da Collette, cerca di rompere la noiosa routine improvvisandosi medium, e richiama l'attenzione di un fantasma. Da quelmomento l'estate delle due amiche diventerà un vero incubo horror e il segreto di Elijah Landry, il ragazzo scomparso, verrà tragicamente svelato.
Recensione:
Ringrazio la gentilissima Giunti Y per avermi inviato questo splendido romanzo.
L’estate dei fantasmi è un romanzo originale, nel suo essere così timidamente vero, così spavaldamente in una salita che riesce a spaventate un po’ tutti prima o poi, finendo quindi per acquietarsi nelle acque del ricordo.
È una storia così vera che, personalmente, mi è sfuggito più di un brivido nella lettura. Coi suoi personaggi così dolci, la loro adolescenza riflette un po’ quella di tutti gli altri ragazzi, pieni di sogni e fantasia, quella fantasia a cui ci aggrappiamo perché non vorremmo che l’età adulta ce la possa strappare via, in un modo o nell’altro.
Ed è così che L’estate dei fantasmi rende questa fantasia vera, la concretizza per farci credere che alla fine questa stessa fantasia può sconvolgerci fino a cambiare la nostra vita, quindi noi stessi. È ciò che succede a Iris, ragazzina che vive a Ondine, in Louisiana, un paesino dove non succede mai niente, e tutto ciò sempre quasi la ricetta predefinita per ogni estate, se non ogni giorno. E come succede in ogni paesino, tutti conoscono tutti, e le vicende, i bisbigli e le voci si susseguono a ritmo prima controllato poi incalzante per farci sprofondare in quell’istante in cui la storia si apre per accoglierci.
Perché in quell’estate la noia di prima diventa quasi un ricordo felice e lontano. Questo succede a Iris, Collette - migliore amica di sempre, artefice di sogni e patti suggellati al chiarore di luna che sussurra fragili incantesimi sul punto di spezzarsi –, e Ben Duvall, il ragazzo di turno che diventa, in qualche modo, parte di quel duo di amiche e lo mitiga nella calura dei sentimenti.
Ed è così, che un giorno, tra i sogni repressi negli incantesimi inventati, la ricerca spietata dei fantasmi nei cimiteri che accade qualcosa. Quando Iris vede la figura di un ragazzo tormentarla con la ricorrente domanda «Che cosa fai, Iris?» Tutto sempre prendere una piega inaspettata. Ed è questo il motivo per il quale entra la figura di Ben. La tavola Ouija, gli scherzi e i rumori che scuotono tutto. E un nome. Elijah. E in questo strano uomo, nelle sue foto, che Iris riconosce il fantasma che d’ora in poi ritornerà a farle visita, frantumandole la finestra, riempiendole i letti di sassi, incupendo le serate d’estate, di un’estate che scorre diversa dalle altre.
Tra le innumerevoli domande che la protagonista si porge, finalmente la verità se ne andrà via con il riscatto della sua verità, in un atto eroico, nascente che riesce a dispiegare le pagine della storia e incidere il finale.
Il romanzo è interamente narrato in prima persona. Il punto di vista è quello della protagonista, Iris che si accinge a novellare delle sue giornate con immancabile forza narrativa e un pizzico di poesia che rende magica in qualche modo la lettura, quell’emozione infusa che riesce a far credere veramente il lettore nella cruda storia che narra, che non è una semplice storia per ragazzi, poiché riesce a suggestionare come altre non riescono a fare.
I capitoli non sono mai troppo lunghi, e la piacevolezza dello stile riesce a risucchiarti tra le brame della trama che non finisce mai di stupirti. Il romanzo è conciso, essenziale, al contempo nel modo di raccontare la storia, e questo è un pregio perché si saltano parti lunghe di racconto o inforigurgiti molesti/funesti che riuscirebbero soltanto a appesantire la lettura e fare intaccare la scorrevolezza del romanzo.
Sinceramente, si è rivelata un’ottima lettura che è riuscita a stupirmi non poco e ad incantarmi, con la sua precisione e il coinvolgimento instancabile della trama. Consigliato, sentitamente.
Voto: 8/10.
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In un autunno scintillante di novità non fatevi sfuggire…
Titolo: La stanza del male.
Autori: Jerker Eriksson, Håkan Axlander Sundquist
Editore: Corbaccio
Pagine: 380
Prezzo: € 14, 80
Trama:
Data di uscita: 8 settembre 2011.In tutta la sua carriera, l'ispettore di Polizia Jeanette Kihlberg non ha mai visto niente di simile: il corpo giace semi nascosto in un cespuglio in uno squallido quartiere periferico di Stoccolma. Un ragazzo, una vittima di un omicidio brutale, un cadavere perfettamente mummificato. Jeanette capisce che da sola non può farcela, il suo intuito investigativo non basta per capire quali abissi nasconde la mente che ha concepito questa messa in scena. Chiede aiuto a Sofia Zettelund, psichiatra, profiler, esperta di personalità multipla. Insieme indagano ed entrambe si convincono che questo assassinio è solo l'inizio...
* * *
Una voce unica che spezza il silenzio della storia, un romanzo in vetta alle classifiche del New York Times a una settimana dall’uscita; venduto in 28 paesi. “I commenti entusiastici dei librai dimostrano la potenza di questo romanzo” Publishers Weekly.
Titolo: Avevano spento anche la luna
Autrice: Ruta Sepetys
Editore: Garzanti
Pagine: 380
Prezzo: € 18, 60
Data di uscita: Ottobre 2011
Recensione: Il club dei suicidi–Crash into Me
Titolo: Il club dei suicidi. Crash into me
Autore: Albert Borris
Traduttore: Lo Porto T.
Editore: Giunti
Collana: Y
Pagine: 304
Prezzo: € 14, 50
Trama:
Sul sedile posteriore della macchina il timido protagonista Owen ripensa ai suoi sette tentativi di suicidio fallito. Così inizia "Crash into me", un romanzo on the road, il viaggio strampalato della strana compagnia dei "Suicide Dogs", quattro teenagers legati da un patto di morte. Dopo essersi conosciuti in una chat per aspiranti suicidi, i ragazzi decidono di partire dal New Jersey e attraversare il paese in un pellegrinaggio che toccherà le tombe di alcune celebrità che si sono tolte la vita, dalla poetessa Anne Sexton, prima tappa a Boston, a Kurt Cobain, passando per Judy Garland, Ernest Hemingway e Hunter S. Thompson. Un rituale che dovrebbe preludere al loro stesso suicidio. Scenario drammatico per il traguardo: la Death Valley.
L’autore:
Albert Borris vive nel New Jersey, è stato per oltre vent’anni un affermato consulente per gli studenti alla Moorestown High School e ama il trekking estremo. Ha seguito le tracce del leopardo delle nevi sull'Himalaya e ha girato l'Islanda a piedi, ma definisce il suo lavoro quotidiano, che ama immensamente, come la più entusiasmante avventura della sua vita. "Il club dei suicidi" è il suo primo romanzo.
Recensione:
Si fanno chiamare Suicide Dogs, perché loro sono come i cani, sono come un branco. E nel branco, si sa, ci sente tutti un po’ meno soli. Si approntano i sogni insieme, si stirano i lustrini per le stelle aiutati da innumerevoli prese di ricordi, respiri, battiti di palpebre che sconfiggono le ansie nelle sue anse perdute. Liste, tane liste, stilate con dieci podi; una scalata inversa, devastante, che dirotta le posizioni in un sorriso – scintilla.
Alla fine, la Death Valley non è poi così lontana.
A legarli, a stringerli, è la voglia di farla finita – dicono loro, di uccidersi, di suicidarsi. A legarli è soltanto la missione per asfissiare la solitudine, farle espiare i suoi spiragli truci di nebbia, farle esalare le sue corti gelate tutt’intorno. Stare insieme, nelle difficoltà, nelle sensibilità, tra i pianti, per ricominciare a vivere. Per ritornare indietro, così: 10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1, 0. Fino allo stato embrionale, fino a quando il calore della pelle decide di partorire figli insani e rifiutati dal mondo, quindi è 0, poi 1 e poi non ci è dato sapere altro.
Owen, Frank, Audrey e Jin-Ae, forse hanno soltanto bisogno di camminare assieme, di sostenere lo sguardo non più soltanto attraverso gli occhi del rimorso, del rimpianto, della delusione, nel non essere capiti, rifiutati, accettati. Credo, sia una grande paura che accomuna tutti i giovani, proprio quella dell’incomprensione.
Forse è per questo che si tende, in qualche modo, a reprimere i sentimenti dentro al corpo e svestire la propria personalità perché al mondo non va bene. Perché nei problemi si diventa soli, terribilmente soli e le colpe ricadono addosso ai protagonisti in maniera pesante e deleteria. Owen nasconde i suoi segreti attraverso suicidi, il fratello morto diventa una realtà troppo grande per non allegarsi al suo stesso io. Frank, che si sente totalmente un fallito. Audrey che è soltanto un po’ sola, e da quando l’hanno investita una cicatrice le calca la testa.
E a volte la rete tende a cucire distanze e a fare di nuovo, infiorare i sogni, scacciare quella solitudine che poi, in fondo, è un po’ noia. Noia di vivere perché non ci sono le ragioni per portano ad aggrapparti in maniera salda alla speranza nei momenti di sconforto.
La narrazione procede come un lungo viaggio – invero è tale situazione che accade, che riempie il romanzo –, intervallata dagli sprazzi di flashback che inquadrano le discussioni in chat dei ragazzi, del mondo in cui si sono ‘conosciuti’ fino all’incontro finale, fino al viaggiare on the road per tutta l’America e rifuggire dai problemi, le famiglie, un tramonto che si assottiglia, mentre loro rincorrono un’alba perenne.
Una cosa che non ho gradito sono state le abbreviazioni usate nelle discussioni in chat, che portano a togliere serietà ai personaggi, tutt’altro che ‘abbreviati’, ‘ridotti’, ma sempre interessanti e alla ricerca della vita, inconsapevolmente, dentro loro stessi.
O qualche appunto alle abbreviazioni di tipo ‘veckio’, ho storto leggermente il naso, anche perché sembrano messe a casaccio. Per esempio ci sono tali momenti in cui le abbreviazioni caratterizzano un personaggio nello specifico, alte in cui esse sono totalmente assenti. Un aspetto importante, peccato però tralasciato come sprazzo di flashback poco importante.
Il loro viaggio procede veloce, fulmineo, verso le tombe degli idoli stessi dei personaggi – Anne Sexton, Kurt Kobain, Savannah, Hemingway; il fratello stesso di Owen diventa idolo e silenzio, diventa scena intensa di finale dove tutto il romanzo concentra le sue spire.
La ricaduta; la rinascita.
Tornare, ritornare avanti, ritornare indietro. Tra le pagine che annotano a momenti una lista delle dieci cose migliori, dei dieci modi migliori per suicidarsi, delle dieci morti più gloriose, più astruse e via dicendo. Finendo poi con le dieci ragioni per rimanere in vita.
Ci si scopre, ci si riscopre, tutti i modi, tutti i mondi sepolti negli animi dei personaggi che ritornano in un romanzo, in uno sviluppo formativo accostato dallo stile dell’autore. Semplice, ma mai banale. Si immedesima, si compenetra, con l’essere del protagonista, Owen. La narrazione in prima persona però presenta alcuni buchi, come le scene che si susseguono molto veloce e che confondono il lettore con l’assenza di descrizioni concrete.
Nonostante tutto, a me il romanzo è piaciuto perché non presenta come Break, Ossa Rotte delle atmosfere angoscianti con la perdita totale delle speranze, questo risulta invece una rinascita graduale, in cui le speranze creano vortici che assorbono interamente i protagonisti.
Voto: 7/10.
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