Lettori fissi

venerdì 24 settembre 2010

PostHeaderIcon Recensione: Fallen

 

 

Autore: Lauren Kate

Titolo: Fallen

Genere: Paranormal Romance

Editore: Rizzoli (romanzo)

Prezzo: 17,00€

Pagine: 480

Recensione di: Zia Mad

 

 

 

Fallen è il primo accattivante volume di una saga urban fantasy che ha riscontrato vasto successo nel pubblico adolescente e young adult a cui è rivolta, tant’è che è in corso la produzione da parte di Disney del film omonimo e per il 28 settembre è previsto negli USA il lancio del seguito intitolato Torment. Si pensa che la traduzione italiana verrà pubblicata nei primi mesi del 2011.

Il romanzo narra le vicende di Lucinda Price, dal soprannome di Luce, giovane diciassettenne tormentata (appunto) che, a causa di un incidente in cui ha visto morire il suo precedente ragazzo, viene spedita in una sorta di riformatorio chiamato “Sword & Cross”, un istituto risalente alla Guerra Civile Americana. Il suo passato funesto e le oscure visioni di cui è vittima rendono l’ambientarsi in questa nuova realtà più faticoso e difficile del previsto, poiché alla Sword & Cross non si possono usare cellulari, è proibito il collegamento Internet, ci si veste solo di nero e, cosa ancora più inquietante, si è perennemente posti sotto la sorveglianza di telecamere. Un particolare curioso è il soprannome della protagonista, Luce (che in americano si suppone vada pronunciato “lius” o qualcosa di simile, ma che in italiano, letto così com’è, assume un significato proprio e incantevole), contrapposta alle Ombre che, fin dall’infanzia, vede e interpreta come sintomi di malattia mentale. Successivamente, il romanzo è tutto un accostarsi di tasselli fantasy che spaziano in un universo “angelico” e che, l’uno dopo l’altro, conducono a una rivelazione scottante che si consuma nelle ultime cinquanta pagine del libro. È insomma un romanzo che apre un ciclo e fatica ad entrare nella trama vera a propria, ma che d’altronde fa di questa introduzione il suo pezzo forte.

Ma andiamo con ordine. Fallen parla soprattutto del rapporto di Luce con gli altri ragazzi dell’istituto, tipi loschi e sinistri; ne analizza costumi, quotidianità e modi di fare, approfondisce con occhio critico e al contempo sentimento quelle che sono le personalità ambigue che popolano questo luogo isolato dal mondo. Tale prima parte è la più coinvolgente e interessante, ti permette di immergerti completamente nella narrazione, dove la presunta pazzia di Luce, le sue paure, si mischiano alla follia di punk, gothic, spacconi e personaggi strambi. Chi ha mai letto libri in cui a gestire la storia sono ragazzi di solito allontanati, considerati anormali? Chi ha mai letto un libro in cui si parla di un punk, di un metallaro, se non nelle pagine un po’ noiose e ridonanti di un trattato di musica? Io non ancora. Se voi l’avete fatto, beh, ditemi di quali libri si tratta, così da potermi fiondare a leggerli. Per dirla breve, trovo in questa scelta uno dei punti forti del romanzo, poiché mi sembra quasi che l’autrice abbia saputo inquadrare bene il pensiero e la cultura di queste minoranze sociali spesso sottovalutate o criticate in male, e che invece, come sempre, hanno molto da offrire. Forse più dei comuni mortali che calpestano, come stesse pedine di una scacchiera, queste strade sciapite e tutte uguali.

L’istituto correzionale con cui Luce ha a che fare è una comunità a sé stante, un angolo appartato ove si concentra l’incanto e il timore dello squilibrio; è il posto in cui palestra e piscina sono state inglobate nella vecchia cappella, in cui fai quindi il bagno al cospetto di crocifissi, candele e vetrate, è il posto in cui il cimitero con le sue tetre statue è luogo di pic-nic o punizioni fatte ai primi chiarori dell’alba. L’ambientazione realistica fornisce una spiegazione plausibile, inserendo talvolta elementi storici, a queste bizzarrie, o almeno se ne occupa quel tanto da eliminare dubbi o domande nel lettore e rendere il romanzo quanto più veritiero. Tale veridicità, come in tutte le cose, è destinata a scomparire, a polverizzarsi come un vampiro impalettato o delle rocce erose dall’acqua, il tutto con un processo impetuoso, improvviso, letale.

Gran parte del testo, se non tutto, è narrato dal punto di vista di Luce e, sebbene in terza persona, conserva un linguaggio sciolto e scorrevole, moderno, ma che con termini semplici sa descrivere piuttosto bene luoghi ed emozioni. Tutto questo è strettamente concentrato laddove il romanzo relega l’elemento fantasy nel suo anonimo cantuccio, in cui Fallen può apparire più che altro un volume autoconclusivo dalla piega psicologica e a tratti horror. Quando i fanciulli mettono le ali, poiché è di angeli caduti che si parla, anche lo stile cade un po’ e si confonde nelle sue atmosfere surrealiste. Ma da questo punto di vista non ho nulla da criticare: uno stile nella norma, che non spicca né per apprezzamento né per il suo essere scadente. Di stili simili se ne sono analizzati fin troppo, quindi non mi pare necessario soffermarmi di più.

L’autrice dapprima si limita a mostrare le difficoltà di Luce a inglobarsi nella Sword & Cross, istituto fatiscente, strano, assurdo; mostra come è bello e impossibile legarsi a dei criminali fuori dalla norma, giovani diffidenti, crudeli, incredibilmente affascinanti, che nelle loro particolarità conquistano un posto nelle memorie e nei sogni. Sono i personaggi di contorno, infatti, a rendere la storia indimenticabile: Arriane, la follia fatta persona, quella da cui puoi aspettarti nulla e tutto e a volte anche entrambi insieme; Cam, quello che ti fa battere il cuore e dopo te lo spezza, quello che gioca in maniera impeccabile con le fragili carni della vita; Penn, la “normale”, la dolce e tenera preda di un luogo che le ha strappato la famiglia e quindi, forse straziato dai rimorsi, le ha fornito un rifugio insicuro ove infine troverà la triste pace; Gabbe, la bionda creatura celeste che sa essere antipatica e perfetta, ma che nasconde un animo forte e gentile.

Poi anche Luce comincia a giocare. Cam e Daniel, loro due, gli “innamorati”, un tavolo da ping-pong in cui Luce è la pallina che vaga veloce e incerta sulla direzione da un lato all’altro del tavolo. A volte, cade. Questo libro è tutta una caduta… La trama s’ingarbuglia, scivola giù; quindi, semplicemente, scoppia.

Bum.

Bum.

Bum.

Tre colpi di cannone, tre pugni nello stomaco. Tre eventi che aprono le porte del fantasy di Fallen. La “rivelazione” della predestinazione. La morte. Il tormento. E a questo punto i colpi di prima assumono la loro vera vena onomatopeica:

Cliché.

Cliché.

Cliché.

È una discesa improvvisa, quasi un burrone, in cui Lauren Kate getta tutto quello che ha costruito finora. Era perfetto, o quasi. Poteva inventarsi qualsiasi cosa, chiudere la trama in maniera verosimile, lasciare Luce e tutti gli altri nell’istituto a crogiolarsi in quell’atmosfera gothic-punk incantevole. Ma no, non andava bene. Bisognava aprire le volte del cielo e far casino. Goffa, pessima scelta, a mio parere, forse dettata solo dall’ampia fetta di mercato che il fantasy offre. Nonostante tutto, però, nonostante la forte delusione, lo sbigottimento iniziale al cambio repentino di direzione, la trama mantiene un filo logico, si regge in equilibrio, merita per l’inizio stupendo.

Fallen è due libri separati: il thriller psicologico senza conclusione e l’angelico fantasy privo di ouverture. Di certo il primo avrebbe meritato molto più del secondo di ricongiungersi alla sua parte mancante, ma va da sé che così non sarà. In ogni caso comprerò Torment e tutto ciò che vi seguirà, ormai sono dentro la trama, e voglio sapere come si conclude. Strano a dirsi, ma questo romanzo non mi è scivolato addosso, mi ha saputo lasciare un retrogusto piacevole che ancora, a distanza di quasi un mese dalla prima lettura, mi porto felicemente dietro. In fondo Arriane e Cam restano, nella loro bellezza, meritano di concludere ciò che hanno da dire, e io li starò ad ascoltare.

D’altro canto Luce è sempre più in balia del presente, è mossa dal vento, le foglie parlano per lei, la terra le crea il percorso da seguire, come una buona madre lo frammenta di ostacoli ed errori per lasciare che la sua piccola apprenda le insidie della vita. Luce e Daniel, i veri protagonisti… puntine nell’enorme lavagna della storia, hanno colori spenti, grigiastri, meno appariscenti e affascinanti degli altri. Meno eroi. Perlomeno, anche se protagonista, Luce non dà molto fastidio. La si dimentica in fretta, lascia gran parte del palco ai suoi compagni, sfavillanti di costumi comprati in pensieri e idee, costumi fatti con azione, audacia e grottesca finezza.

La questione amorosa è più prorompente di quanto non si pensi, è legata indissolubilmente alla trama. Fallen… caduta… precipitata nelle braccia di un amore proibito. Una scelta, una condivisione di male e bene, anche stavolta divisi e contrapposti. La fuga contro il tempo: questi i temi del lato fantastico che si presume dominerà anche nei seguenti volumi. Io preferivo quel misto di follia, mistero e ambiguità, il tocco sottile della malattia a fare da sfondo, la forza dell’animo spaurito e scosso. Avrei messo quasi 5 stelle se Lauren Kate avesse mantenuto sempre lo stesso tono dei primi capitoli.

Per finire, il solito plaudere alla grafica: la copertina è di una sensibilità deliziosa e comunicativa, il pianto nel bosco… riflette molto dell’ambientazione, domina gli occhi dei possibili acquirenti col suo magico catturarti e imprigionarti fra le brame oniriche del desiderio. La scritta bianca spicca e ti induce ad aprire il libro e sfogliare le pagine spesse e profumate (spreco di carta, sì, ma anche piacere che sa di lussuria a lungo negata), trovare i titoli dei capitoli nel carattere arcuato ed elegante, fantasticare. Leggere piacevolmente un buon romanzo.

 

Voto: 3 cappelli di ziaCopia di madhatCopia di madhatCopia di madhat

  

lunedì 20 settembre 2010

PostHeaderIcon Pan, notizie dal gatto.

mémoires: *-* _[post dopo lo stress scolastico, in terza per...: "* Ha Pan di Francesco Dimitri. Forse nessuno lo sa, ma lui ama questo scrittore, nel modo più puro. Il libro è in carta riciclata, ciò vuol ..."
giovedì 9 settembre 2010

PostHeaderIcon Amelice

Buonasera a tutti!È il vostro gatto addomesticato che vi saluta con uno scossone della coda fronzuta.Sono qua per annunciarvi che fra poco il nostro amato blog riparte. Siete contenti, eh?Non mi pare proprio.Comunque, andiamo al sodo. Poiché ci sono stati alcuni diverbi dentro il trio, siamo stati costretti ad allontanare (a malincuore e soprattutto consensualmente) la nostra Crylice, scomparsa ormai anche da blogger… Ergo, vorrei salutarla con un sorriso – intriso di una dolce mestizia – a sessantadue dentini acuti. Ci mancherai… sventoliamo tutti il nostro fazzoletto di batista, una nota di malinconia nell’anima.Dunque, abbiamo messo in atto (dopo esser stati consci che la lacerazione sarebbe stata dura a esser lenita) di far rimanere quel che era un trio. Vedo di spiegarmi meglio, nel nostro trio c’è una nuova (simpatica, folle, divertente) arrivata. Costei è Eleanor Amelie Rigby, che s’immergerà pienamente nei panni di Amelice.Ma ora vi lascio alle sue parole e alla sua presentazione!



Bambina dagli occhi ridenti
Dal puro volte sognante,
Ricordi le ore splendenti
Di quell’estate smagliante,
in cui con pupille incantate
udivi racconti di fate?
Muovo qualche passo incerto verso la lunga tavola apparecchiata. Il Cappellaio Matto è seduto, solo, su una sedia in fondo. Sembra sovrappensiero mentre, con lo sguardo a terra, continua a versare in una tazzina scheggiata il suo ottimo, profumato e inesistente thè. Alza d’un tratto il viso e non mostra la minima sorpresa nel rivedermi.
«Amelice» mi chiama, con un’ombra di preoccupazione sul volto, «Cos’hanno in comune un corvo e una scrivania?»
«Non lo so ancora, Cappellaio» ammetto. Lui torna a guardarsi le scarpe, triste.
«Prendi il thè con me, Amelice?» mi domanda, gentile, poco dopo.
«Molto zuccherato» dico di rimando, prendendo posto.
Il Cappellaio mi serve con garbo una tazza vuota.
«Fa’ attenzione, Amelice, scotta» mi avverte, Annuisco senza pensarci. Il Cappellaio mi guarda incuriosito mentre fingo di sorseggiare il mio thè.
«Era molto buono» mi complimento. Lui si stringe nelle spalle, malinconico
«Lo è, ma mi piacerebbe anche cenare, ogni tanto, o far colazione.»
Il tavolo è cosparso di innumerevoli tazzine rotte, taglienti cocci e briciole di biscotti, vecchie teiere sbeccate, piattini in ceramica e dolcetti d’ogni sorta. Di nuovo l’ora del thè. Qui è sempre l’ora del thè.
Guai a litigar col tempo. Se si è in buoni rapporti, gli si può chiedere- per piacere, che sia sempre il tuo compleanno, cosa assai sconveniente per gli altri, ma hai voglia ad aprir doni. Al massimo si rischia un’indigestione di enormi torte con la panna. Per sua disgrazia, il Cappellaio lo aveva offeso tempo addietro, ed eccolo costretto nel limbo tra le cinque e le sei del pomeriggio, all’ora del thè.
Noi uomini del mondo di sopra col Tempo abbiam tagliato ogni legame. Sentiamo sulla pelle e nelle ossa il peso di ogni secondo. Invecchiamo dentro Accade la cosa più ingiusta: i fanciulli divengono adulti.
Oggi il sole è impallidito,
quel ricordo si è smarrito.
«Amelice. Ti sei tagliata i capelli.» osserva il Cappellaio.
Così ora ne ho la conferma: nulla è più come prima.
«Chi ti assicura, Amelice, che i buffi giardinieri di picche non stiano dipingendo col sangue le rose bianche?»
Sussulto spaventata. Mi giro di scatto, il terribile bisbiglio che continua a echeggiare nella mia testa.
Il Gatto del Cheshire è accoccolato su un alto ramo. Come in attesa. Mi ha aspettata per tutto questo tempo? Avevi nove vite. Quante te ne restano?
Ammicca e mette in mostra la lunga fila di dentini affilati, rivolgendomi il suo solito ghigno folle. Poi scompare, poco alla volta. Scompare la sua coda cespugliosa, scompare anche il corpo e scompare il viso. Sbatte le palpebre un’ultima volta. Alla fine resta sospeso solo il suo ghigno. Prende anche il sorriso, e va via.
Il Brucaliffo vola con le sue splendidi ali colorate.
La farfalla che esce dal bozzolo. Nulla è davvero cambiato, eppure tutto le appare diverso: perché è lei l’unica a non essere più la stessa. Io non sono più la stessa.
Non appartengo più a questo posto. Sono cresciuta.
Quel Paese spesso agogno:
la vita cos’è, se non un sogno?


Amelice.
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