Lettori fissi

venerdì 22 ottobre 2010

PostHeaderIcon Recensione: Reckless, lo specchio dei mondi

 

Autore: Cornelia Funke

Titolo: Reckless, lo specchio dei mondi

Genere: Letteratura per ragazzi

Editore: Mondadori

Prezzo: 17,00 €

Pagine: 276

Recensione di: Zia Mad

 

 

 

 

 

 

Il sito italiano ufficiale del libro lo trovate qui, e questo è il fantastico booktrailer che ne hanno tratto:

 

 

Grandi aspettative. Libro letto e acquistato su consiglio di Chesy. Maledetto stregatto! Parla, confonde, induce e convince, poi si leva ogni responsabilità con una scrollata di coda: «Ti ho solo mostrato le vie! Ciò che hai fatto l’hai scelto da te» e poi aggiunge «Grazie per averlo testato (il libro).»

Poche sorprese. A confronto con la recensione di “Cuore d’Inchiostro”, i punti a favore e i difetti restano prettamente gli stessi. Come se la Funke frattanto non fosse migliorata affatto, oppure abbia intrapreso un passo avanti equilibrato rispettando i rapporti fra pregi e lacune.

Si parte in modo ottimo: il lettore viene inserito nella trama che la storia s’è avviata già da un po’, e il passato si ricompone pezzo pezzo a furia di modesti e striminziti inforigurgiti, all’inizio forse troppi e fuori luogo (nonostante siano indispensabili per delineare la base della trama e l’atmosfera di partenza), ma poi sempre più ridotti e idonei alla situazione. Quindi si può dire che quasi metà romanzo è costituito da piccolissime storie d’avventuree, che riprendono magicamente le favole dolci e a lieto fine del nostro mondo e le rendono reali, un pizzico più gotiche e macabre, magari facendo capitare i personaggi nel castello di Rosaspina che dopo secoli è ancora addormentata, o in una casa di marzapane la cui strega è stata uccisa crudelmente anni prima.

La trama si sviluppa attorno a una concezione e a un universo nuovo e sconosciuto, cui vi si accede tramite uno specchio di proprietà dei Reckless, a prima occhiata borghese e normalissimo. John Reckless, l’uomo di casa, ha tenuto nascosto il segreto dello Specchio fino alla sua definitiva scomparsa all’interno di esso. Quindi il figlio Jacob, non credendo alla menzognera notizia della sua morte, eredita per caso questo pericoloso mistero: il Mondo dello Specchio, negli anni e grazie a i numerosi “viaggi”, diventa il mondo di Jacob, che infine decide di mostrare tutto ciò al caro fratello minore, Will. Ed è proprio qui che entra in campo il lettore, ora che cominciano i guai. Non ci interessano tutte le avventure di Jacob prima dell’entrata in scena di Will, benché interessanti e fantastiche, né ci interessa poi molto la vita che entrambi conducevano nel mondo reale. O, almeno, questo è ciò che crede la Funke, visto che ci dipinge il tutto con poche frasi sparse per tutto il romanzo, confuse come ricordi e pensieri transitori, tinteggiate alla stessa maniera di quelle immagini tremendamente fugaci che rappresentano il tenue risorgere di un passato a lungo represso, quindi di nuovo sottomesso da un presente azionistico e stressante, movimentato. Il presente che noi viviamo assieme ai Reckless è proprio questo, una violenta corsa contro il tempo, che asservendosi degli elementi fantasy permette di bruciar tappe e combinar casini immani in un periodo che dura meno di un mese, una ventina di giorni al massimo.

Reckless, a differenza della copertina glaciale, è un fuoco di eventi. La Funke avrebbe potuto scrivere un tomo di cinquecento pagine, se solo avesse approfondito tutti gli aspetti qui solo appena sbozzati. Con la fretta di creare un libro coinvolgente ed energico ha finito per lesionare la sua opera, facendola apparire frivola, leggera, una concentrazione di azioni prive di una coscienziosa base sentimentale e di riflessione. Esagerando con l’azione, si è sminuita l’importanza della personalità dei protagonisti, qui incredibilmente piatti, profondi come pozzanghere sull’asfalto lasciate da piogge passeggere. La compagnia che attraversa le lande del Mondo dello Specchio è composta da elementi molto differenti fra loro, che hanno aperto all’autrice numerose vie con cui dettagliare l’animo di ciascuno. C’è il nano avido e ambiguo, la mutaforma passionale e logica, la ragazza innamorata e decisa, Jacob che è forte nel corpo e nello spirito come se fosse sempre vissuto in quell’universo magico e insidioso, affronta le difficoltà mosso dall’affetto fraterno e da una nota vagamente impulsiva. Ma tutto ciò da cosa lo ricaviamo? Da azioni, gesti e decisioni. Non c’è una riflessione o un dialogo che partecipi a delineare tali caratteristiche, anzi s’impegnano a fare il contrario. I dialoghi incontrati presentano tutti lo stesso linguaggio, buonista e colloquiale anche nelle situazioni di forte confronto, completamente atono come se prodotto da un macchinario invece che da esseri umani. Persino Volpe, la più sconsiderata, parla con tono pacato e indifferente, o almeno dà questa triste impressione.

Se in molti altri romanzi emerge che sono i personaggi di contorno quelli delineati meglio, forse perché descritti in così breve tempo da farci rimanere legati affettivamente agli atteggiamenti tipici e caratteristici di ognuno di loro, modi che da soli sanno rendere unici, in Reckless invece rappresentano la lacuna maggiore. Qui sono mezzi, mezzi per costruire la fortezza in cui il protagonista si muoverà sicuro sostenuto dalla sua astuzia e forza di volontà, talvolta spudoratamente accompagnate a un’enorme fortuna. Si nota un tentativo claudicante della Funke di donar loro un filo di spessore, ma lo fa alla sua maniera, ovviamente errata: decide infatti di raccontare l’azione (attenzione, l’azione!) saliente della loro vita, quasi che essa riesca a essere simbolo e matrice della ritualità occultata del personaggio. Inforigurgiti funesti.

Nella trama si possono notare tantissimi riferimenti alle fiabe dei fratelli Grimm, di cui i fratelli protagonisti portano anche il nome (Will e Jacob). Una sorta di tributo? Una ricerca approfondita per poter riscrivere la loro storia in chiave moderna e fantasy? L’andare della narrazione presenta a buon ragione una sorta di velo di superficialità che ricorda le fiabe, quello strascico incantato in cui il tutto pare una metafora deliziosa che s’intarsia d’azioni ed eventi, un tentativo di parlare attraverso figure e immagini. Ma se questa tecnica va bene per i bambini o per chi volesse immergersi consapevolmente in tale magica avventura, non giova se ritrovata in un volume che tende ad essere rivolto a un pubblico giovane, ormai disinteressato alle fiabe ma non ancora pronto a generi più complicati. Nonostante tutto, questo accozzamento di elementi fiabeschi è gestito in modo pessimo, dando a tutto l’aspetto confuso di una coperta patchwork. Per chi avesse visto il film “Parnassus”, potrei paragonarlo un po’ a quell’altro specchio, famoso per ben altre capacità: chi ci entra ci può trovare di tutto, realizzazione diabolica dei propri desideri, non c’è spazio per stupirsi più di tanto, poiché il tutto è pura meraviglia. Ma se in “Parnassus” questa caratteristica ne faceva il suo punto forte, spingendo sul lato grottesco dell’opera e interagendo col subconscio degli spettatori, Reckless lavora in maniera diversa e si preoccupa di dotare il tutto di un nesso logico, finendo per errare.

Una scelta stilistica da criticare è l’associare ogni capitolo a un punto di vista, che spazia fino a raggiungere la soglia di quasi dieci narratori interni che si susseguono senza parvenza di nesso logico. Il punto di vista è sfumato, interviene raramente, tanto da venir riconosciuto solo a capitolo inoltrato, quando comprendi che tutte quelle frasi senza soggetto sono implicitamente riferite al personaggio che ha aperto la narrazione. E a volte capita pure di confondersi: è Clara a parlare, visto che poco fa si narrava di lei, o è Jacob, o magari Volpe… anzi, no, ora che ci rifletto, questo atteggiamento mi sa tipico di Will. Se i personaggi avessero avuto un minimo di profondità, di carattere, anche distinguere un punto di vista dall’altro sarebbe stato molto più semplice.

Lo stile in generale è migliore di quello di tanti scrittori italiani, insito di figure retoriche (specie nella prima parte) che incantano e sanno imprimere bene l’immagine dell’ambiente naturalistico e fatato cui andiamo incontro. Sarà la lingua tedesca che sa lasciare di per sé un’impronta delicata e brillante, piacevole, di cui si può incontrare un altro esempio lampante del “Sangue di Faun” di Nina Blazon, ma le parole vengono usate con perizia e criterio, la punteggiatura non è mai a sproposito e perlopiù competente, i termini ricercati sono inseriti nei punti giusti. Forse, rispetto alla Blazon, la Funke appare più fredda e metodica, restando però comunque una brava scrittrice. Uno stile del genere in mano a un buon narratore farebbe faville, poiché apre innumerevoli opportunità. Scivola liscio come un drappo di seta, e lascia lo stesso sentore morbido e accogliente, una sensazione che sfuma placida e quieta, lentamente.

Un voto finale un po’ strano. La trama ha la sua originalità, cattura insieme allo stile fresco e intrigante, ma è come un diamante ancora tutto da sbozzare, il ritorno del mio canone con cui ho cominciato la recensione: grandi speranze, grande occasione, il tutto sbiadito dietro i difetti che la Funke si porta ancora dietro. Il giudizio è stato a lungo altalenante, indeciso, due cappelli erano troppi, uno e mezzo poco. D’altro canto si nota la buona volontà e il desiderio di scrivere per raccontare e non per racimular monete o raccoglier fama, cosa da apprezzare in un mondo librario dove casi simili diventano sempre più rari. Perciò, bando alle ciance.

Voto: 1 cappello e mezzo + bonus volontà :P

Copia di madhat[9] madhat

Bonus

 

 

Postilla: “L’angolo dell’editor”

Dopo una recensione mi pare doveroso spiegarvi cosa sia l’inforigurgito, o infodump (in inglese) che dir si voglia. Per farlo cito una breve ma concisa spiegazione che ci fornisce Gamberetta:

“L’inforigurgito è l’impellente necessità dell’autore di fornire informazioni al lettore. L’autore si rende conto che il lettore ha bisogno di determinate informazioni per comprendere gli sviluppi della storia, e perciò gliele vomita addosso. Peggio, spesso l’autore crede che le informazioni siano vitali, quando in realtà non lo sono.”

Ora, esistono inforigurgiti e inforigurgiti. Di esempi ne potremmo fare molti, dall’autore che interrompe una scena per narrare come un noioso paragrafo di storia abitudini e guerre di una razza che ha appena introdotto, e che rappresenta in sé l’esempio più molesto, a brevi paragrafi che sono più che altro flashback mal gestiti. Un infodump può esserci presentato in due modi: con un inserto esplicito dell’autore all’interno della narrazione o attraverso il dialogo. Il primo modo risulta noioso, ma facile da utilizzare, e soprattutto non rischia di intaccare la trama. Il dialogo invece, benché riesca a mascherare il fastidio creato dall’infodump, finisce col rendersi inverosimile e talvolta ridicolo, poiché si tratta di informazioni che difficilmente verrebbero scambiate durante una discussione, specie se vengono utilizzati termini che richiamano l’insegnamento scolastico.

Gli inforigurgiti della Funke appartengono alla categoria meno spiacevole, ma la numerosità elevata di essi ne svaluta l’intero romanzo. Qui cito un paragrafo preso dal capitolo 39:

“Hentzau inarcò le sopracciglia. – Speravo che me lo sapessi dire tu. Lo abbiamo catturato cinque anni fa a Blenheim. Doveva costruire un ponte, perché la gente del posto era stufa di farsi divorare dalle lorelei. Già all’epoca il fiume ne era pieno, anche se fa comodo raccontare che ce le ha messe la fata. John Reckless, è così che si faceva chiamare. Portava sempre con sé una foto dei suoi figli. Il nostro re gli aveva fatto costruire una macchina fotografica molto prima che l’idea venisse agli inventori della corte imperiale. Ci ha insegnato molto. Ma chi avrebbe mai detto che un giorno a uno dei suoi figli sarebbe cresciuta una pelle di giada!”

Un altro estratto invece lo troviamo nel capitolo 5:

“– Allora, in che guai ti sei cacciato questa volta? – gli chiese. Dallo sguardo si capiva che pure lui si sarebbe fatto volentieri un goccetto, ma si limitò a versarsi dell’acqua.

In passato, si ubriacava così spesso che Jacob era arrivato al punto di nascondergli le bottiglie, anche se poi Chanute gliele dava di santa ragione. Lo picchiava spesso, anche quando era sobrio… finché un giorno Jacob non gli aveva puntato contro una pistola. Pure nella caverna dell’orco era entrato ubriaco. E se non avesse avuto la vista offuscata dai fumi dell’alcol, non avrebbe perduto il braccio. Ma da allora aveva smesso di bere. Era stato un pessimo surrogato di padre, e Jacob stava sempre sul chi vive quando era in sua compagnia, ma se c’era qualcuno che sapeva come far guarire Will, quello era Albert Chanute.

– Cosa faresti per estirpare le carni di pietra a un tuo amico?”

Nel primo esempio si nota come sia stato cercato di nascondere malamente l’infodump in un dialogo, una sorta di racconto che cerca di riassumere i fatti che il parlante vuole comunicare al ricevente. Nonostante tutto, si tratta di informazioni sconosciute al ricevente, e perciò possono venire recepite come piuttosto verosimili (quanti sono infatti i casi in cui, anche in un film, troviamo un personaggio che racconta qualcosa del genere?), ma resta il fatto che si tratta di un brano alla lunga noioso, e che interrompe la foga della situazione, un momento importante della narrazione in cui viene a galla un particolare sorprendente. Come l’autrice avrebbe potuto mascherare meglio l’inforigurgito? Riflettiamo: si suppone che, a quanto detto, Hentzau conosca John Reckless. E allora perché non citare una frase da lui detta, un episodio particolare che sia direttamente legato con la personalità di Hentzau e ciò che prova? In un dialogo simile la tensione si appiattisce senza speranza di ripresa.

Nel secondo esempio ho volontariamente inserito le battute che precedevano e seguivano l’infodump, per sottolineare come un intervento del genere miri a disintegrare la stabilità e fluidità della storia, risultando talvolta completamente fuori luogo. Infatti dopo l’inserzione in cui scopriamo particolari sorvolabili del passato dei due parlanti, fatichiamo in maniera evidente a riprendere il filo del discorso: in Reckless mi è più volte capitato di essere costretta a rileggere l’ultima battuta prima della divagazione, in modo da ricordarmi di nuovo di cosa si stesse parlando. Se Chanute è un surrogato di padre pessimo, mostramelo, se non ne hai voglia non ne parlare nemmeno, e questo ragionamento si può applicare a un po’ tutti gli interventi simili rintracciabili nel romanzo, che fa degli infodump la sua ragion d’essere e il suo difetto maggiore.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

niente sookie stackhouse - southern vampire di Charlaine Harris, tra i vostri libri?

lacrimadicrisantemo ha detto...

No, di C. Harris non abbiamo letto nulla, per ora. Al massimo abbiamo recensito e letto alcuni libri di Joanne Harris, ma non dell'autrice da te citata :)
Se ce lo consigli come libro saremo lieti di leggerlo prossimamente, nel caso in cui ci attrae ^^

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