In My Mail Box (2)
Chesy;
Per questa settimana, ragazzi, questo è l’unico acquisto a cui ho provveduto, che ho ahimè letto in un giorno, è stato certo spiacevole finire il Mondo Emerso ma al contempo, benché il libro sia pieno di difetti innumerevoli e pare quasi che manchino dei capitoli, il finale mi ha dato un senso di pace assoluto e posso dire che è questa la vera fine del Mondo Emerso, sarebbe una disgrazia farlo continuare, anche perché non ci sono possibilità a livello di trama per farlo. Non penso di farvi una recensione in merito, in quanto considero il mio giudizio troppo personale per essere espresso e finirei per non essere obbiettivo e ciò mi dispiacerebbe.
Titolo: Gli tuli eroi
Autore: Licia Troisi
Editore: Mondadori
Trama: Il Mondo Emerso sembra giunto definitivamente al tramonto. Il morbo che il re degli elfi ha insinuato nella popolazione sta contaminando ogni villaggio, e l'unico antidoto, una pozione distillata dal sangue di ninfa, non basta a curare tutti i malati. Mentre ogni speranza sembra perduta, Adhara decide di non opporsi più al proprio destino e di essere fino in fondo Sheireen, la creatura nata per combattere il Marvash, il male assoluto. Grazie al suo coraggio e all'aiuto di una guerriera ribelle, l'origine del morbo viene infine svelata, e un'innocente sottratta a un immane supplizio. Ma le voci di un'inattesa minaccia iniziano a serpeggiare tra i sopravvissuti, e un attacco di inaudita potenza sembra covare nelle riunioni segrete del re degli elfi e i suoi seguaci. L'arma che annienterà per sempre il Mondo Emerso sta per abbattersi sulla Terra del Vento, e Adhara dovrà compiere una scelta dolorosa e definitiva, sacrificando alla missione molto più di se stessa.
Pagine: 384
Prezzo: 18,00 €
In my mailbox (1)
Buonasera ragazzi, oggi primo appuntamento con una nuova rubrica abituale, In My Mailbox, che grazie ad Anita Book, ha permesso a molti blogger fuori dal vero progetto, di aderire costruendo un piccolo gruppo.
La rubrica, in breve, mostra gli acquisti settimanali o ricevuti dalle case editrici, (aspettando che qualcuno ci indichi come riceverli), che vi presenteremo qui sotto.
I nostri acquisti di questa settimana sono…
- Chesy,:
Il ragazzo con gli occhi blu.
Trama: Blu non è più un bambino cattivo. Ora è un uomo di quarant’anni. Lavora come portiere in un ospedale e vive ancora insieme alla madre in un paese dello Yorkshire. Un’esistenza ordinaria, all’apparenza un po’ monotona. Una vita molto diversa da quella che l’uomo conduce nel mondo virtuale. Blu ha un blog su un sito chiamato “badguysrock”, una community che ha fondato lui stesso, dedicata a tutte le persone cattive. Su internet dà sfogo ai suoi desideri più nascosti, confessa ossessioni di morte, racconta la sua infanzia, quella di un bambino pericolosamente affascinato dal male. Pensieri oscuri che girano attorno a una terribile fantasia, quella di uccidere sua madre. Una donna dura, con cui ha sempre avuto un rapporto carico di misteri. Ma cosa è vero e cosa non lo è? Qual è il confine tra realtà e mondo virtuale? Blu era realmente un bambino malvagio o semplicemente si inventava tutto? Forse l’inquietante Albertine, che condivide con Blu un agghiacciante segreto, lo sa. O forse no. Una cosa è certa: Blu non è quello che sembra. E mentre post dopo post le parole si fanno sempre più sinistre, la violenza cresce pericolosamente. C’è un solo modo per fermarla: scavare nel vero passato di Blu, un passato oscuro, un passato di rivalità e menzogne, il passato di un bambino incompreso, dotato di una sensibilità straordinaria. Fino a svelare il cuore malato di una famiglia profondamente disturbata. Solo così emergeranno le ragioni di un omicidio vecchio di vent’anni…
Autrice: Joanne Harris
Prezzo: 18,60
Editore: Garzanti
Una grande e terribile bellezza.
Trama:Fine Ottocento. Alla morte della madre, la sedicenne Gemma Doyle, trascurata da un padre schiavo del laudano, lascia Bombay dove ha trascorso l'intera infanzia per un severo e cupo collegio femminile appena fuori Londra, la Spence Academy. Qui, dopo molti tentativi, riesce a entrare nell'esclusivo gruppo formato dalla potente Felicity, la vezzosa Pippi e l'imbranata Ann. Dopo il primo periodo di permanenza, costellato di noiose lezioni, rigida disciplina e soprattutto oscure visioni (nonché dalla presenza di Kartik, un giovane misterioso e seducente che l'ha seguita fin dall'India e l'avvisa di non dar retta ai sogni che la funestano), Gemma scopre un diario segreto che le svela l'esistenza dell'Ordine, una congrega di sole donne dedite alla magia e alla ricerca di universi paralleli dove tutto è possibile. Assieme alle amiche, e nonostante la ferma opposizione di Kartik e di altri a lui vicini, la ragazza è intenzionata a saperne di più, a ribellarsi alle regole che la vorrebbero studentessa modello, a raggiungere la grotta nascosta dove l'attende un destino imprevedibile e dove alcuni pressanti interrogativi troveranno finalmente un chiarimento.
Autore: Libba Bray
Prezzo: 11,90
Editore: Lit
Zia Mad,:
Titolo: Le parole segrete
Trama:
Nel villaggio di Malbry non è facile essere giovani e coltivare i propri sogni. Le regole e la disciplina la fanno da padroni; i giochi e gli incantesimi sono stati proibiti. Eppure Maddy non ha mai smesso di credere nel potere dei sogni e della magia. Lei è diversa da tutti: è ribelle, curiosa, testarda, e sulla mano ha il marchio di una runa. Per molti si tratta di un segno maledetto, ma non per il Guercio, il misterioso straniero che racconta storie affascinanti, l'unico amico che Maddy abbia mai avuto. È lui a svelarle il misterioso linguaggio delle rune e a introdurla in quell'universo proibito e vietato dove sono nascosti gli incantesimi, la conoscenza e il segreto delle sue origini. Mentre il futuro inciso sulla sua mano si avvicina giorno dopo giorno, una terribile catastrofe minaccia di distruggere per sempre quel mondo perduto. Maddy è l'unica in grado di salvarlo: sarà un'avventura appassionante e un percorso di crescita, dall'innocenza epeduta alla consapevolezza del proprio destino, oltre le cupe regole dell'Ordine. Con Le parole segrete Joanne Harris continua a esplorare la realtà fantastica, fondendo le atmosfere di Chocolat con le antiche mitologie, a cominciare da quelle nordiche.
Autore: Harris Joanne
Editore: Garzanti Libri
Prezzo: € 9,90
Titolo: Il Seme del Male
Trama:
Cimitero di Grantchester, Cambridge. La tomba, diversa da tutte le altre ricoperte di fiori, è avvolta dall'edera e dalle erbacce e a stento si legge il nome sulla lastra. E quello di una donna: Rosemary Virginia Ashley. Alice Farrell, giovane pittrice in cerca di ispirazione, non sa perché è finita davanti a questa lapide. Non conosce quella donna, sa solo che la lapide la mette profondamente a disagio. Una sensazione strana, simile a quella che prova quando conosce Ginny, la nuova fidanzata del suo ex, Joe. Forse si tratta solo di gelosia. Eppure c'è qualcosa di oscuro in quella ragazza dalla bellezza eterea, con i capelli rossi e una passione per i quadri preraffaelliti che ritraggono donne uguali a lei. Cosa si nasconde dietro quegli occhi enigmatici e inquieti? E perché Ginny ogni notte fa visita alla tomba di Rosemary, seppellita cinquant'anni prima, ma lungi dall'essere dimenticata? La risposta forse è in un vecchio diario. Ma ormai passato e presente sono una cosa sola e Alice deve riuscire a distinguere tra sogno e follia, bugia e finzione. Perché ora quella che era solo una sensazione sta per trasformarsi in un'orribile realtà. Una realtà di orrore e morte, passioni oscure, sangue e vendetta.
Autore: Harris Joanne
Editore: Garzanti Libri
Prezzo: € 10,90
Titolo: Il Piacere
Trama:
Il poeta-pittore Andrea Sperelli, protagonista del romanzo, è il primo alter ego di D'Annunzio, e il più significativo: incarna una raffinata sensibilità, carica di civiltà e di corruzione, scettica e cinica, che agisce secondo l'istanza estetica di vivere per il piacere e paga un duro scotto per la sua resa incondizionata ai sensi. Libro apparentemente senza azione, dove tutto sembra accadere nella mente del protagonista, modernamente sospesa tra aspettazione e memoria, "Il piacere" ha una svolta narrativa cruciale nel lapsus mentale e linguistico del protagonista che, mentre abbraccia la donna virtuosa e dolente che ha sedotto, pensa alla perduta e appassionata amante finendo per pronunciare il nome sbagliato.
Autore: Gabriele D’Annunzio
Editore: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
Prezzo: € 8,40
Titolo: Ombra
Trama:
Alma apre gli occhi. Incredula, con la testa dolorante, si ritrova su un pavimento di legno, all'interno di un negozio del centro. Accanto a lei, il corpo senza vita del vecchio cartolaio, che lei ben conosce e che tanto spesso, col suo sorriso gentile, le ha regalato un momento di conforto nelle sue giornate. Non ci sono dubbi: è l'ennesima vittima dei Master, le creature provenienti dal mondo malefico che getta la sua ombra sulla Città. Alma non può fare altro che fuggire, sempre più terrorizzata e sola. Morgan, l'enigmatico ragazzo dagli occhi viola, l'unico che sembrava capirla e conoscerla davvero, è scomparso nel nulla. Senza di lui, la scuola è solo una stanza vuota. Alma non prova più gioia nel suo cuore, nemmeno per l'amica Seline, che sembra finalmente serena vicino ad Adam. Del resto, quando è stata l'ultima volta che Alma si è sentita felice? Com'è possibile che non sia mai riuscita a legarsi a un ragazzo prima di Morgan? E perché anche nei suoi riguardi quel che sente, in fondo, è solo tanta confusione? Le risposte, scoprirà, hanno a che fare con la sua stessa natura e le sue vere, oscure origini. Risposte affidate agli occhi di una ragazza di cui Alma fissa incredula la fotografia esposta a una mostra, riconoscendovi il proprio ritratto. Quelle risposte sono a portata di mano, nel mondo parallelo di My Land da cui Alma proviene, al di là di una porta chiusa che solo Morgan può insegnarle ad aprire e di cui lei, senza saperlo, possiede già la chiave.
Autore: Elena P. Melodia
Editore: Fazi
Prezzo: € 18,50
Recensione: Reckless, lo specchio dei mondi
Autore: Cornelia Funke
Titolo: Reckless, lo specchio dei mondi
Genere: Letteratura per ragazzi
Editore: Mondadori
Prezzo: 17,00 €
Pagine: 276
Recensione di: Zia Mad
Il sito italiano ufficiale del libro lo trovate qui, e questo è il fantastico booktrailer che ne hanno tratto:
Grandi aspettative. Libro letto e acquistato su consiglio di Chesy. Maledetto stregatto! Parla, confonde, induce e convince, poi si leva ogni responsabilità con una scrollata di coda: «Ti ho solo mostrato le vie! Ciò che hai fatto l’hai scelto da te» e poi aggiunge «Grazie per averlo testato (il libro).»
Poche sorprese. A confronto con la recensione di “Cuore d’Inchiostro”, i punti a favore e i difetti restano prettamente gli stessi. Come se la Funke frattanto non fosse migliorata affatto, oppure abbia intrapreso un passo avanti equilibrato rispettando i rapporti fra pregi e lacune.
Si parte in modo ottimo: il lettore viene inserito nella trama che la storia s’è avviata già da un po’, e il passato si ricompone pezzo pezzo a furia di modesti e striminziti inforigurgiti, all’inizio forse troppi e fuori luogo (nonostante siano indispensabili per delineare la base della trama e l’atmosfera di partenza), ma poi sempre più ridotti e idonei alla situazione. Quindi si può dire che quasi metà romanzo è costituito da piccolissime storie d’avventuree, che riprendono magicamente le favole dolci e a lieto fine del nostro mondo e le rendono reali, un pizzico più gotiche e macabre, magari facendo capitare i personaggi nel castello di Rosaspina che dopo secoli è ancora addormentata, o in una casa di marzapane la cui strega è stata uccisa crudelmente anni prima.
La trama si sviluppa attorno a una concezione e a un universo nuovo e sconosciuto, cui vi si accede tramite uno specchio di proprietà dei Reckless, a prima occhiata borghese e normalissimo. John Reckless, l’uomo di casa, ha tenuto nascosto il segreto dello Specchio fino alla sua definitiva scomparsa all’interno di esso. Quindi il figlio Jacob, non credendo alla menzognera notizia della sua morte, eredita per caso questo pericoloso mistero: il Mondo dello Specchio, negli anni e grazie a i numerosi “viaggi”, diventa il mondo di Jacob, che infine decide di mostrare tutto ciò al caro fratello minore, Will. Ed è proprio qui che entra in campo il lettore, ora che cominciano i guai. Non ci interessano tutte le avventure di Jacob prima dell’entrata in scena di Will, benché interessanti e fantastiche, né ci interessa poi molto la vita che entrambi conducevano nel mondo reale. O, almeno, questo è ciò che crede la Funke, visto che ci dipinge il tutto con poche frasi sparse per tutto il romanzo, confuse come ricordi e pensieri transitori, tinteggiate alla stessa maniera di quelle immagini tremendamente fugaci che rappresentano il tenue risorgere di un passato a lungo represso, quindi di nuovo sottomesso da un presente azionistico e stressante, movimentato. Il presente che noi viviamo assieme ai Reckless è proprio questo, una violenta corsa contro il tempo, che asservendosi degli elementi fantasy permette di bruciar tappe e combinar casini immani in un periodo che dura meno di un mese, una ventina di giorni al massimo.
Reckless, a differenza della copertina glaciale, è un fuoco di eventi. La Funke avrebbe potuto scrivere un tomo di cinquecento pagine, se solo avesse approfondito tutti gli aspetti qui solo appena sbozzati. Con la fretta di creare un libro coinvolgente ed energico ha finito per lesionare la sua opera, facendola apparire frivola, leggera, una concentrazione di azioni prive di una coscienziosa base sentimentale e di riflessione. Esagerando con l’azione, si è sminuita l’importanza della personalità dei protagonisti, qui incredibilmente piatti, profondi come pozzanghere sull’asfalto lasciate da piogge passeggere. La compagnia che attraversa le lande del Mondo dello Specchio è composta da elementi molto differenti fra loro, che hanno aperto all’autrice numerose vie con cui dettagliare l’animo di ciascuno. C’è il nano avido e ambiguo, la mutaforma passionale e logica, la ragazza innamorata e decisa, Jacob che è forte nel corpo e nello spirito come se fosse sempre vissuto in quell’universo magico e insidioso, affronta le difficoltà mosso dall’affetto fraterno e da una nota vagamente impulsiva. Ma tutto ciò da cosa lo ricaviamo? Da azioni, gesti e decisioni. Non c’è una riflessione o un dialogo che partecipi a delineare tali caratteristiche, anzi s’impegnano a fare il contrario. I dialoghi incontrati presentano tutti lo stesso linguaggio, buonista e colloquiale anche nelle situazioni di forte confronto, completamente atono come se prodotto da un macchinario invece che da esseri umani. Persino Volpe, la più sconsiderata, parla con tono pacato e indifferente, o almeno dà questa triste impressione.
Se in molti altri romanzi emerge che sono i personaggi di contorno quelli delineati meglio, forse perché descritti in così breve tempo da farci rimanere legati affettivamente agli atteggiamenti tipici e caratteristici di ognuno di loro, modi che da soli sanno rendere unici, in Reckless invece rappresentano la lacuna maggiore. Qui sono mezzi, mezzi per costruire la fortezza in cui il protagonista si muoverà sicuro sostenuto dalla sua astuzia e forza di volontà, talvolta spudoratamente accompagnate a un’enorme fortuna. Si nota un tentativo claudicante della Funke di donar loro un filo di spessore, ma lo fa alla sua maniera, ovviamente errata: decide infatti di raccontare l’azione (attenzione, l’azione!) saliente della loro vita, quasi che essa riesca a essere simbolo e matrice della ritualità occultata del personaggio. Inforigurgiti funesti.
Nella trama si possono notare tantissimi riferimenti alle fiabe dei fratelli Grimm, di cui i fratelli protagonisti portano anche il nome (Will e Jacob). Una sorta di tributo? Una ricerca approfondita per poter riscrivere la loro storia in chiave moderna e fantasy? L’andare della narrazione presenta a buon ragione una sorta di velo di superficialità che ricorda le fiabe, quello strascico incantato in cui il tutto pare una metafora deliziosa che s’intarsia d’azioni ed eventi, un tentativo di parlare attraverso figure e immagini. Ma se questa tecnica va bene per i bambini o per chi volesse immergersi consapevolmente in tale magica avventura, non giova se ritrovata in un volume che tende ad essere rivolto a un pubblico giovane, ormai disinteressato alle fiabe ma non ancora pronto a generi più complicati. Nonostante tutto, questo accozzamento di elementi fiabeschi è gestito in modo pessimo, dando a tutto l’aspetto confuso di una coperta patchwork. Per chi avesse visto il film “Parnassus”, potrei paragonarlo un po’ a quell’altro specchio, famoso per ben altre capacità: chi ci entra ci può trovare di tutto, realizzazione diabolica dei propri desideri, non c’è spazio per stupirsi più di tanto, poiché il tutto è pura meraviglia. Ma se in “Parnassus” questa caratteristica ne faceva il suo punto forte, spingendo sul lato grottesco dell’opera e interagendo col subconscio degli spettatori, Reckless lavora in maniera diversa e si preoccupa di dotare il tutto di un nesso logico, finendo per errare.
Una scelta stilistica da criticare è l’associare ogni capitolo a un punto di vista, che spazia fino a raggiungere la soglia di quasi dieci narratori interni che si susseguono senza parvenza di nesso logico. Il punto di vista è sfumato, interviene raramente, tanto da venir riconosciuto solo a capitolo inoltrato, quando comprendi che tutte quelle frasi senza soggetto sono implicitamente riferite al personaggio che ha aperto la narrazione. E a volte capita pure di confondersi: è Clara a parlare, visto che poco fa si narrava di lei, o è Jacob, o magari Volpe… anzi, no, ora che ci rifletto, questo atteggiamento mi sa tipico di Will. Se i personaggi avessero avuto un minimo di profondità, di carattere, anche distinguere un punto di vista dall’altro sarebbe stato molto più semplice.
Lo stile in generale è migliore di quello di tanti scrittori italiani, insito di figure retoriche (specie nella prima parte) che incantano e sanno imprimere bene l’immagine dell’ambiente naturalistico e fatato cui andiamo incontro. Sarà la lingua tedesca che sa lasciare di per sé un’impronta delicata e brillante, piacevole, di cui si può incontrare un altro esempio lampante del “Sangue di Faun” di Nina Blazon, ma le parole vengono usate con perizia e criterio, la punteggiatura non è mai a sproposito e perlopiù competente, i termini ricercati sono inseriti nei punti giusti. Forse, rispetto alla Blazon, la Funke appare più fredda e metodica, restando però comunque una brava scrittrice. Uno stile del genere in mano a un buon narratore farebbe faville, poiché apre innumerevoli opportunità. Scivola liscio come un drappo di seta, e lascia lo stesso sentore morbido e accogliente, una sensazione che sfuma placida e quieta, lentamente.
Un voto finale un po’ strano. La trama ha la sua originalità, cattura insieme allo stile fresco e intrigante, ma è come un diamante ancora tutto da sbozzare, il ritorno del mio canone con cui ho cominciato la recensione: grandi speranze, grande occasione, il tutto sbiadito dietro i difetti che la Funke si porta ancora dietro. Il giudizio è stato a lungo altalenante, indeciso, due cappelli erano troppi, uno e mezzo poco. D’altro canto si nota la buona volontà e il desiderio di scrivere per raccontare e non per racimular monete o raccoglier fama, cosa da apprezzare in un mondo librario dove casi simili diventano sempre più rari. Perciò, bando alle ciance.
Voto: 1 cappello e mezzo + bonus volontà :P
Postilla: “L’angolo dell’editor”
Dopo una recensione mi pare doveroso spiegarvi cosa sia l’inforigurgito, o infodump (in inglese) che dir si voglia. Per farlo cito una breve ma concisa spiegazione che ci fornisce Gamberetta:
“L’inforigurgito è l’impellente necessità dell’autore di fornire informazioni al lettore. L’autore si rende conto che il lettore ha bisogno di determinate informazioni per comprendere gli sviluppi della storia, e perciò gliele vomita addosso. Peggio, spesso l’autore crede che le informazioni siano vitali, quando in realtà non lo sono.”
Ora, esistono inforigurgiti e inforigurgiti. Di esempi ne potremmo fare molti, dall’autore che interrompe una scena per narrare come un noioso paragrafo di storia abitudini e guerre di una razza che ha appena introdotto, e che rappresenta in sé l’esempio più molesto, a brevi paragrafi che sono più che altro flashback mal gestiti. Un infodump può esserci presentato in due modi: con un inserto esplicito dell’autore all’interno della narrazione o attraverso il dialogo. Il primo modo risulta noioso, ma facile da utilizzare, e soprattutto non rischia di intaccare la trama. Il dialogo invece, benché riesca a mascherare il fastidio creato dall’infodump, finisce col rendersi inverosimile e talvolta ridicolo, poiché si tratta di informazioni che difficilmente verrebbero scambiate durante una discussione, specie se vengono utilizzati termini che richiamano l’insegnamento scolastico.
Gli inforigurgiti della Funke appartengono alla categoria meno spiacevole, ma la numerosità elevata di essi ne svaluta l’intero romanzo. Qui cito un paragrafo preso dal capitolo 39:
“Hentzau inarcò le sopracciglia. – Speravo che me lo sapessi dire tu. Lo abbiamo catturato cinque anni fa a Blenheim. Doveva costruire un ponte, perché la gente del posto era stufa di farsi divorare dalle lorelei. Già all’epoca il fiume ne era pieno, anche se fa comodo raccontare che ce le ha messe la fata. John Reckless, è così che si faceva chiamare. Portava sempre con sé una foto dei suoi figli. Il nostro re gli aveva fatto costruire una macchina fotografica molto prima che l’idea venisse agli inventori della corte imperiale. Ci ha insegnato molto. Ma chi avrebbe mai detto che un giorno a uno dei suoi figli sarebbe cresciuta una pelle di giada!”
Un altro estratto invece lo troviamo nel capitolo 5:
“– Allora, in che guai ti sei cacciato questa volta? – gli chiese. Dallo sguardo si capiva che pure lui si sarebbe fatto volentieri un goccetto, ma si limitò a versarsi dell’acqua.
In passato, si ubriacava così spesso che Jacob era arrivato al punto di nascondergli le bottiglie, anche se poi Chanute gliele dava di santa ragione. Lo picchiava spesso, anche quando era sobrio… finché un giorno Jacob non gli aveva puntato contro una pistola. Pure nella caverna dell’orco era entrato ubriaco. E se non avesse avuto la vista offuscata dai fumi dell’alcol, non avrebbe perduto il braccio. Ma da allora aveva smesso di bere. Era stato un pessimo surrogato di padre, e Jacob stava sempre sul chi vive quando era in sua compagnia, ma se c’era qualcuno che sapeva come far guarire Will, quello era Albert Chanute.
– Cosa faresti per estirpare le carni di pietra a un tuo amico?”
Nel primo esempio si nota come sia stato cercato di nascondere malamente l’infodump in un dialogo, una sorta di racconto che cerca di riassumere i fatti che il parlante vuole comunicare al ricevente. Nonostante tutto, si tratta di informazioni sconosciute al ricevente, e perciò possono venire recepite come piuttosto verosimili (quanti sono infatti i casi in cui, anche in un film, troviamo un personaggio che racconta qualcosa del genere?), ma resta il fatto che si tratta di un brano alla lunga noioso, e che interrompe la foga della situazione, un momento importante della narrazione in cui viene a galla un particolare sorprendente. Come l’autrice avrebbe potuto mascherare meglio l’inforigurgito? Riflettiamo: si suppone che, a quanto detto, Hentzau conosca John Reckless. E allora perché non citare una frase da lui detta, un episodio particolare che sia direttamente legato con la personalità di Hentzau e ciò che prova? In un dialogo simile la tensione si appiattisce senza speranza di ripresa.
Nel secondo esempio ho volontariamente inserito le battute che precedevano e seguivano l’infodump, per sottolineare come un intervento del genere miri a disintegrare la stabilità e fluidità della storia, risultando talvolta completamente fuori luogo. Infatti dopo l’inserzione in cui scopriamo particolari sorvolabili del passato dei due parlanti, fatichiamo in maniera evidente a riprendere il filo del discorso: in Reckless mi è più volte capitato di essere costretta a rileggere l’ultima battuta prima della divagazione, in modo da ricordarmi di nuovo di cosa si stesse parlando. Se Chanute è un surrogato di padre pessimo, mostramelo, se non ne hai voglia non ne parlare nemmeno, e questo ragionamento si può applicare a un po’ tutti gli interventi simili rintracciabili nel romanzo, che fa degli infodump la sua ragion d’essere e il suo difetto maggiore.
Anteprima: Il ragazzo con gli occhi blu
Trama: Blu non è più un bambino cattivo. Ora è un uomo di quarant’anni. Lavora come portiere in un ospedale e vive ancora insieme alla madre in un paese dello Yorkshire. Un’esistenza ordinaria, all’apparenza un po’ monotona. Una vita molto diversa da quella che l’uomo conduce nel mondo virtuale. Blu ha un blog su un sito chiamato “badguysrock”, una community che ha fondato lui stesso, dedicata a tutte le persone cattive. Su internet dà sfogo ai suoi desideri più nascosti, confessa ossessioni di morte, racconta la sua infanzia, quella di un bambino pericolosamente affascinato dal male. Pensieri oscuri che girano attorno a una terribile fantasia, quella di uccidere sua madre. Una donna dura, con cui ha sempre avuto un rapporto carico di misteri. Ma cosa è vero e cosa non lo è? Qual è il confine tra realtà e mondo virtuale? Blu era realmente un bambino malvagio o semplicemente si inventava tutto? Forse l’inquietante Albertine, che condivide con Blu un agghiacciante segreto, lo sa. O forse no. Una cosa è certa: Blu non è quello che sembra. E mentre post dopo post le parole si fanno sempre più sinistre, la violenza cresce pericolosamente. C’è un solo modo per fermarla: scavare nel vero passato di Blu, un passato oscuro, un passato di rivalità e menzogne, il passato di un bambino incompreso, dotato di una sensibilità straordinaria. Fino a svelare il cuore malato di una famiglia profondamente disturbata. Solo così emergeranno le ragioni di un omicidio vecchio di vent’anni…
data di pubblicazione: 28 ottobre 2010
pagine: 450
editore: Garzanti
prezzo: € 18,60
Lo aspetto con ansia, si presenta troppo bene.
La garzanti ha aperto il blog di “blueeyedboy”. Visitatelo se volete incuriosirvi, andate qui.
O se volete notizie succulente e perenni sull’autrice, andate qui.
Licia Troisi: Spoiler & Anteprime
Per tutti gli amanti della temeraria coppia Licia Troisi + Paolo Barbieri, dal 26 Ottobre è disponibile “Guerre del Mondo Emerso – Guerrieri e Creature”
Titolo: Guerre del Mondo Emerso – Guerrieri e Creature
Autori: Licia Troisi, illustrazioni di Paolo Barbieri
Editore: Mondadori
Collana: I Grandi
Data di Pubblicazione: 26 Ottobre 2010
Pagine: 130
Prezzo: 22,00 €
Trama: Dubhe, la tormentata guerriera contesa tra il Bene e la Gilda degli Assassini; i draghi, le leggendarie creature cavalcate dai combattenti che lottano per la salvezza dell'Impero; la torre di Salazar, la sontuosa capitale della Terra del Vento. Le immagini con cui la fantasia di ognuno ha accompagnato la lettura delle pagine di "Guerre del Mondo Emerso" prendono vita in uno splendido volume illustrato che presenta tutte le creature e i personaggi della saga. Ricche tavole a colori illustrano gli scenari in cui sono ambientate le avventure della trilogia, descrivono i particolari di abiti, armature, equipaggiamenti e artiglieria, e colgono emozioni, caratteri e personalità in suggestivi ritratti. Ogni disegno, realizzato da Paolo Barbieri, è accompagnato da un testo inedito di Licia Troisi che approfondisce la caratterizzazione dei personaggi e dei luoghi.
Questa, bene, era l’anteprima ormai di dominio pubblico. Penso che sia un regalo, e chiamatelo regalo ^^' , bellissimo per tutti gli appassionati di Licia Troisi e delle sue saghe. Questo libro va a fondo, scova e ingrandisce i personaggi e le situazioni che hanno condizionato le Guerre del Mondo Emerso.
OK.
Siete pronti per passare agli Spoiler?
Davvero?
Sicuri?
Allora rullo di tamburi, spariamo qualche petardo.
Bum.
Bum.
Bum.
In anteprima per voi, solo per voi cari lettori del Trio dei Matti, la scheda su “le Leggende del Mondo Emerso - Gli ultimi eroi”. L’attesissimo capitolo conclusivo dell’ultima saga del nostro, o almeno mio, amato Mondo Emerso.
Passiamo quindi, alla scheda, con tanto di anteprima di copertina.
Titolo: Le Leggende del Mondo Emerso, vol 3, “Gli Ultimi Eroi”
Autore: Licia Troisi
Editore: Mondadori
Collana: I Grandi
Data di Pubblicazione: 30 Novembre 2010
Pagine: 464
Prezzo: 18,00 €
Trama: Il Mondo Emerso sembra giunto definitivamente al tramonto. Il morbo che Kryss, il re degli elfi, ha fatto diffondere tra la popolazione ha contaminato ogni villaggio, e l’unico antidoto, una pozione distillata dal sangue di ninfa, non basta a curare tutti i malati.
Mentre ogni speranza sembra perduta, Adhara decide di non opporsi più al proprio destino e di essere fino in fondo Sheireen, la creatura nata per combattere il Marvash, il male assoluto.
Grazie al suo coraggio l’origine del morbo viene infine svelata, e un’innocente sottratta a un immane supplizio. Ma le voci di una nuova, inattesa minaccia iniziano a serpeggiare tra i sopravvissuti, e un attacco di inaudita potenza sembra covare nelle riunioni segrete del re degli elfi e i suoi seguaci.
L’arma che annienterà per sempre il Mondo Emerso sta per abbattersi sulla Terra del Vento, e Adhara dovrà compiere una scelta dolorosa e definitiva, sacrificando alla missione molto più di se stessa.
Piaciuto il regalo? Solo per voi, penso di essere il primo a farvi quest’anteprima, quindi il vostro gattino è come sempre rimpinzito di sorprese. Bene, per ora abbiamo finito qui, quando avrò altre news non esiterò a pubblicarvele, per ora godiamoci queste. Poiché, anche se non è vero, chi si accontenta gode.
Alla prossima!
Chesy
Recensione: Cuore d’Inchiostro
Recensione: Fallen
Autore: Lauren Kate
Titolo: Fallen
Genere: Paranormal Romance
Editore: Rizzoli (romanzo)
Prezzo: 17,00€
Pagine: 480
Recensione di: Zia Mad
Fallen è il primo accattivante volume di una saga urban fantasy che ha riscontrato vasto successo nel pubblico adolescente e young adult a cui è rivolta, tant’è che è in corso la produzione da parte di Disney del film omonimo e per il 28 settembre è previsto negli USA il lancio del seguito intitolato Torment. Si pensa che la traduzione italiana verrà pubblicata nei primi mesi del 2011.
Il romanzo narra le vicende di Lucinda Price, dal soprannome di Luce, giovane diciassettenne tormentata (appunto) che, a causa di un incidente in cui ha visto morire il suo precedente ragazzo, viene spedita in una sorta di riformatorio chiamato “Sword & Cross”, un istituto risalente alla Guerra Civile Americana. Il suo passato funesto e le oscure visioni di cui è vittima rendono l’ambientarsi in questa nuova realtà più faticoso e difficile del previsto, poiché alla Sword & Cross non si possono usare cellulari, è proibito il collegamento Internet, ci si veste solo di nero e, cosa ancora più inquietante, si è perennemente posti sotto la sorveglianza di telecamere. Un particolare curioso è il soprannome della protagonista, Luce (che in americano si suppone vada pronunciato “lius” o qualcosa di simile, ma che in italiano, letto così com’è, assume un significato proprio e incantevole), contrapposta alle Ombre che, fin dall’infanzia, vede e interpreta come sintomi di malattia mentale. Successivamente, il romanzo è tutto un accostarsi di tasselli fantasy che spaziano in un universo “angelico” e che, l’uno dopo l’altro, conducono a una rivelazione scottante che si consuma nelle ultime cinquanta pagine del libro. È insomma un romanzo che apre un ciclo e fatica ad entrare nella trama vera a propria, ma che d’altronde fa di questa introduzione il suo pezzo forte.
Ma andiamo con ordine. Fallen parla soprattutto del rapporto di Luce con gli altri ragazzi dell’istituto, tipi loschi e sinistri; ne analizza costumi, quotidianità e modi di fare, approfondisce con occhio critico e al contempo sentimento quelle che sono le personalità ambigue che popolano questo luogo isolato dal mondo. Tale prima parte è la più coinvolgente e interessante, ti permette di immergerti completamente nella narrazione, dove la presunta pazzia di Luce, le sue paure, si mischiano alla follia di punk, gothic, spacconi e personaggi strambi. Chi ha mai letto libri in cui a gestire la storia sono ragazzi di solito allontanati, considerati anormali? Chi ha mai letto un libro in cui si parla di un punk, di un metallaro, se non nelle pagine un po’ noiose e ridonanti di un trattato di musica? Io non ancora. Se voi l’avete fatto, beh, ditemi di quali libri si tratta, così da potermi fiondare a leggerli. Per dirla breve, trovo in questa scelta uno dei punti forti del romanzo, poiché mi sembra quasi che l’autrice abbia saputo inquadrare bene il pensiero e la cultura di queste minoranze sociali spesso sottovalutate o criticate in male, e che invece, come sempre, hanno molto da offrire. Forse più dei comuni mortali che calpestano, come stesse pedine di una scacchiera, queste strade sciapite e tutte uguali.
L’istituto correzionale con cui Luce ha a che fare è una comunità a sé stante, un angolo appartato ove si concentra l’incanto e il timore dello squilibrio; è il posto in cui palestra e piscina sono state inglobate nella vecchia cappella, in cui fai quindi il bagno al cospetto di crocifissi, candele e vetrate, è il posto in cui il cimitero con le sue tetre statue è luogo di pic-nic o punizioni fatte ai primi chiarori dell’alba. L’ambientazione realistica fornisce una spiegazione plausibile, inserendo talvolta elementi storici, a queste bizzarrie, o almeno se ne occupa quel tanto da eliminare dubbi o domande nel lettore e rendere il romanzo quanto più veritiero. Tale veridicità, come in tutte le cose, è destinata a scomparire, a polverizzarsi come un vampiro impalettato o delle rocce erose dall’acqua, il tutto con un processo impetuoso, improvviso, letale.
Gran parte del testo, se non tutto, è narrato dal punto di vista di Luce e, sebbene in terza persona, conserva un linguaggio sciolto e scorrevole, moderno, ma che con termini semplici sa descrivere piuttosto bene luoghi ed emozioni. Tutto questo è strettamente concentrato laddove il romanzo relega l’elemento fantasy nel suo anonimo cantuccio, in cui Fallen può apparire più che altro un volume autoconclusivo dalla piega psicologica e a tratti horror. Quando i fanciulli mettono le ali, poiché è di angeli caduti che si parla, anche lo stile cade un po’ e si confonde nelle sue atmosfere surrealiste. Ma da questo punto di vista non ho nulla da criticare: uno stile nella norma, che non spicca né per apprezzamento né per il suo essere scadente. Di stili simili se ne sono analizzati fin troppo, quindi non mi pare necessario soffermarmi di più.
L’autrice dapprima si limita a mostrare le difficoltà di Luce a inglobarsi nella Sword & Cross, istituto fatiscente, strano, assurdo; mostra come è bello e impossibile legarsi a dei criminali fuori dalla norma, giovani diffidenti, crudeli, incredibilmente affascinanti, che nelle loro particolarità conquistano un posto nelle memorie e nei sogni. Sono i personaggi di contorno, infatti, a rendere la storia indimenticabile: Arriane, la follia fatta persona, quella da cui puoi aspettarti nulla e tutto e a volte anche entrambi insieme; Cam, quello che ti fa battere il cuore e dopo te lo spezza, quello che gioca in maniera impeccabile con le fragili carni della vita; Penn, la “normale”, la dolce e tenera preda di un luogo che le ha strappato la famiglia e quindi, forse straziato dai rimorsi, le ha fornito un rifugio insicuro ove infine troverà la triste pace; Gabbe, la bionda creatura celeste che sa essere antipatica e perfetta, ma che nasconde un animo forte e gentile.
Poi anche Luce comincia a giocare. Cam e Daniel, loro due, gli “innamorati”, un tavolo da ping-pong in cui Luce è la pallina che vaga veloce e incerta sulla direzione da un lato all’altro del tavolo. A volte, cade. Questo libro è tutta una caduta… La trama s’ingarbuglia, scivola giù; quindi, semplicemente, scoppia.
Bum.
Bum.
Bum.
Tre colpi di cannone, tre pugni nello stomaco. Tre eventi che aprono le porte del fantasy di Fallen. La “rivelazione” della predestinazione. La morte. Il tormento. E a questo punto i colpi di prima assumono la loro vera vena onomatopeica:
Cliché.
Cliché.
Cliché.
È una discesa improvvisa, quasi un burrone, in cui Lauren Kate getta tutto quello che ha costruito finora. Era perfetto, o quasi. Poteva inventarsi qualsiasi cosa, chiudere la trama in maniera verosimile, lasciare Luce e tutti gli altri nell’istituto a crogiolarsi in quell’atmosfera gothic-punk incantevole. Ma no, non andava bene. Bisognava aprire le volte del cielo e far casino. Goffa, pessima scelta, a mio parere, forse dettata solo dall’ampia fetta di mercato che il fantasy offre. Nonostante tutto, però, nonostante la forte delusione, lo sbigottimento iniziale al cambio repentino di direzione, la trama mantiene un filo logico, si regge in equilibrio, merita per l’inizio stupendo.
Fallen è due libri separati: il thriller psicologico senza conclusione e l’angelico fantasy privo di ouverture. Di certo il primo avrebbe meritato molto più del secondo di ricongiungersi alla sua parte mancante, ma va da sé che così non sarà. In ogni caso comprerò Torment e tutto ciò che vi seguirà, ormai sono dentro la trama, e voglio sapere come si conclude. Strano a dirsi, ma questo romanzo non mi è scivolato addosso, mi ha saputo lasciare un retrogusto piacevole che ancora, a distanza di quasi un mese dalla prima lettura, mi porto felicemente dietro. In fondo Arriane e Cam restano, nella loro bellezza, meritano di concludere ciò che hanno da dire, e io li starò ad ascoltare.
D’altro canto Luce è sempre più in balia del presente, è mossa dal vento, le foglie parlano per lei, la terra le crea il percorso da seguire, come una buona madre lo frammenta di ostacoli ed errori per lasciare che la sua piccola apprenda le insidie della vita. Luce e Daniel, i veri protagonisti… puntine nell’enorme lavagna della storia, hanno colori spenti, grigiastri, meno appariscenti e affascinanti degli altri. Meno eroi. Perlomeno, anche se protagonista, Luce non dà molto fastidio. La si dimentica in fretta, lascia gran parte del palco ai suoi compagni, sfavillanti di costumi comprati in pensieri e idee, costumi fatti con azione, audacia e grottesca finezza.
La questione amorosa è più prorompente di quanto non si pensi, è legata indissolubilmente alla trama. Fallen… caduta… precipitata nelle braccia di un amore proibito. Una scelta, una condivisione di male e bene, anche stavolta divisi e contrapposti. La fuga contro il tempo: questi i temi del lato fantastico che si presume dominerà anche nei seguenti volumi. Io preferivo quel misto di follia, mistero e ambiguità, il tocco sottile della malattia a fare da sfondo, la forza dell’animo spaurito e scosso. Avrei messo quasi 5 stelle se Lauren Kate avesse mantenuto sempre lo stesso tono dei primi capitoli.
Per finire, il solito plaudere alla grafica: la copertina è di una sensibilità deliziosa e comunicativa, il pianto nel bosco… riflette molto dell’ambientazione, domina gli occhi dei possibili acquirenti col suo magico catturarti e imprigionarti fra le brame oniriche del desiderio. La scritta bianca spicca e ti induce ad aprire il libro e sfogliare le pagine spesse e profumate (spreco di carta, sì, ma anche piacere che sa di lussuria a lungo negata), trovare i titoli dei capitoli nel carattere arcuato ed elegante, fantasticare. Leggere piacevolmente un buon romanzo.
Pan, notizie dal gatto.
Amelice
Bambina dagli occhi ridenti
Amelice.
Recensione: Beautiful Malice
Autore: Rebecca James
Titolo: Beautiful Malice
Editore: Einaudi (Stile Libero Big)
Prezzo: 17,50 €
Pagine: 296
Recensione di: Chesy & Zia Mad
Un po’ tutti avrete sentito almeno nominare questo romanzo, considerato il caso editoriale dell’anno e tanto conteso dalle case editrici alla Fiera del Libro di Francoforte, tanto che siete stati proprio voi lettori a chiederci una recensione sul romanzo. Perciò, prima di cominciare, per quei pochi che non hanno ancora un’idea precisa del romanzo in questione, vi riportiamo a un articolo piuttosto esaustivo (e anche breve) in proposito.
È un libro moderno, o quantomeno è quello che esso cerca di fingersi, poiché sotto la sua maschera si cela ben altro. È una storiella così, campata in aria, e lì resta per tutto il seguito della narrazione. Forse è proprio questo che dà fastidio al lettore: la viscidità delle parole, della storia in sé, di una finta “morale” che scivola come un drappo di seta e se ne va via. Non lascia nemmeno un briciolo del suo fascino, benché, d’altronde, scrutando attentamente, non ne ha nemmeno un filamento. Tale fascino viene inevitabilmente corroso, solo questo. È un retrogusto che stranamente può sapere di cenere.
È un libro di quelli che devi assorbire tutti d’un fiato, altrimenti rischi di non arrivare a finirlo, e portartelo come un peso per troppo tempo che, ovviamente, avresti potuto dedicare a letture migliori. È un libro di quelli che, una volta finiti, necessitano di alcuni minuti (minuto più, minuto meno; insomma la quantità di tempo necessaria a ciascuno di noi) per accusare il colpo e fare in modo che si riesca a darne un giudizio piuttosto soggettivo, non più suggestionato dalle voci che ne parlano in giro, ma totalmente sottomesso a ciò che noi consideriamo la realtà dei fatti. È, come tutti, un libro con i suoi pro e i suoi contro, e sarà nostro impegno esaminarli uno per uno.
La trama ricorda vagamente i soliti telefilm americani, è ricca, direi quasi rimpinzata come un panino, di cliché e situazioni comuni che si possono trovare in qualsiasi luogo di questo piccolo mondo. I personaggi sono stereotipati, e più che altro cercano, in maniera che a volte risulta anche un po’ goffa, di inquadrare la società odierna. Sebbene la critica ad essa sia sommessa, quasi impercettibile (la scrittrice si limita a raccontare i fatti, quasi che le circostanze fossero solo i casi più favorevoli a far accomodare per bene la sua storia), sono proprio gli errori nelle azioni di questi burattini australiani a infastidire il lettore. Come quando in una partita di calcio si prende a rimproverare il calciatore, nonostante sia impossibile che egli ci senta o solo si accorga di noi, si è portati a pensare come sarebbe stato facile se solo si fosse agito in una maniera più “giusta”. Ecco, venire immersi in questa realtà di merda lascia sbigottiti, i difetti vengono a galla, gli episodi diventano man mano più tragici e insulsi. Non tanto banali, quanto idioti.
E come in uno di quei telefilm, il tutto viene diretto ad un pubblico sano per mutargli segretamente il cervello in qualcosa di demenziale e che si lascia abbindolare, in qualcosa di ipnotico e assurdo. E man mano che questo traspare, ci si trova davanti a una di quelle soap-opere fastidiose, ove da una puntata all’altra tutto si stravolge in ridicolo, cade nel precipizio. Si capisce, infine, che non se ne può più esserne sconvolti, ma si è consapevoli che alla prossima voltata di pagina gli occhi verranno sgranati nuovamente per ammirare l’idiozia di un mondo reale.
Spesso si tende a immergersi completamente in una storia, benché essa possa essere un fantasy o una science-fiction e quindi lontana dalla percezione comune, e perciò si assorbe come una spugna l’atmosfera che si vive nel libro, con il rischio che essa finisca per traboccare e lasciare le sue macchie nel mondo. E quindi un po’ spiace partecipare a una trama così, senza nulla che lasci qualcosa di duraturo e gradevole, senza nulla che sia altro ad eccezione di un moto di scossa per gli eventi finali e un’indifferenza che si fa sempre più forte. Indifferenza che poi ha il sopravvento, e non ti permette di giudicare il romanzo né una lettura piacevole (poiché ciò che viene narrato all’interno non può assolutamente considerarsi tale), né uno di quei romanzi che sanno, per quanto “dolorosi”, lasciare un’impronta nel tuo animo di lettore.
Certo, nella sua banalità, nel suo ritratto specifico dei lati più meschini della natura umana, in fin dei conti suscita alcune riflessioni. Riflessioni concentrate sul valore della morte di una persona cara (e qua, per evitare spoiler, la Zia si trova costretta a tacere; e no, non è la sorella della protagonista, se state pensando questo), o del confronto, dell’assurda stupidità della protagonista, capace di affrontare il dolore nei suoi molteplici aspetti solo nel modo più ingrato. Quindi soffrendo, senza limiti, anche a distanza di tempo, inondando le pagine del libro con i suoi rimorsi e le sue continue citazioni agli eventi spiacevoli che le hanno sconvolto la vita. Citazioni pesanti e inutili ai fini della storia e che, se raggruppate tutte, formerebbero un intero capitolo dickensiano da buttare… ehm… da qualche parte. E per dickensiano, riferendomi a coloro che ancora non hanno letto nulla di lui, s’intende fino ad arrivare a circa 30 pagine scritte tutte fitto fitto. Tolte queste, del romanzo della James non rimarrebbe che un racconto lungo.
Concentrandoci un po’ più sulle riflessioni che porta il libro, e che sono uno dei suoi pregi più evidenti,la Zia avrebbe qualcosa da dire. Non tanto per accanirmi proprio con l’autrice, ma qualsiasi romanzo, riportando tematiche tali, può essere capace di suscitare circuiti di pensiero nel lettore, e magari con tanto di qualità insite in più. Poi, le opinioni riportate dalla protagonista sembrano quasi frasi costruite nell’aria: non so e non pretendo di sapere se l’autrice, nello scrivere, si sia rifatta a vicende familiari o che in qualche maniera la coinvolgono, ma ho sempre ritenuto che sia un po’ come impicciarsi negli affari degli altri scrivere di dolori altrui. C’è chi lo fa bene (perfettamente, azzarderei, ripensando appena ad Hosseini), chi benino come la James, ma resta sempre quell’amaro di fondo in cui dici: “cavolo, questo mi è davvero capitato, ma io non ho reagito così. Anzi.” Anzi… è come confrontarsi con un fantasma. Ti viene descritto il dolore di qualcosa che non c’è, o meglio non c’è più.
La James cerca di iniettare nella storia svagate situazioni, cerca di far riflettere sul dolore, e se si può essere felici di una morte. E tutto è stranamente confuso, non potendo essere altro... La protagonista porta la sua vita che è insita di morte come un gran fardello insopportabile, ne condisce causticamente le pagine, tanto che è impossibile trovarne una in cui Katherine non ne faccia riferimento e non si pianga addosso. L’esistenza di Katherine Patterson viene quindi scossa da un individuo, che strascica la sua lingua velenosa da dietro, che si specchia ad occhi incomprensibilmente opachi, incapaci di in distinguere la personalità ambigua, con cui la James si diverte ad appiattire il tutto.
Forse è proprio questo il mezzo pregio della storia. I personaggi appaiono marionette, né più e né meno, s’abbigliano della nostra civiltà e si specchiano in noi. Chesy li definirebbe quasi giovani deformanti, un abbozzo mal riuscito, un quadro stropicciato per cercarne la fosca e lurida perfezione.
Un comportamento quasi istintivo di ogni lettore è quello di affezionarsi a un personaggio, e in un certo qual modo parteggiare per lui durante la sua corsa fra le pagine del libro. Bene, con Beautiful Malice ciò non è capitato. Ogni personaggio ha il suo difetto che te lo fa odiare distintamente, o che comunque te lo rende o antipatico o semplicemente indifferente. Rachel è un’ingenua, Alice una perversa; Katherine è stupida, Robbie insensato, e così via per tutte le comparse del romanzo. D’altra parte, e qui c’è una nota amara, sai di riconoscerti in ognuno di essi, sia per i difetti che per delle azioni che ritrovi vergognosamente nel tuo passato.
Qua si scade nell’inverosimile, l’inverosimile del nostro telefilm che gioca a sostenere castelli in aria e quindi ipotesi che lasciano senza fiato, finendo per far appunto sfracellare la sabbia, non più sostenuta dall’assenza di gravità di un’Australia innocente rispetto all’aberrante trama imbastita da mani ancora fin troppo esordienti. E tutto si rivela stilla per stilla, fino a quando arrivi a una certa pagina (pagina 200 o giù di lì, per essere precisi), in cui le pagine si scollano dal dorso e cascano anormalmente in terra. Tanto che pensi sia stato tu a provocarlo, ma poi t’accorgi che è proprio un difetto della casa Einaudi. Irrimediabilmente non ricomponibili, i fogli voleranno appena il vento spirerà più forte, serbando l’odio intrinseco per la storia. E parliamo sul serio, quando diciamo che le pagine si stacchino, nel vero senso della parola, e che il dorso si abrasi del tutto da lì in poi. Evento capitato alla Zia tanto quanto a Chesy.
Quando finalmente l’attenzione cresce, si nota ed è evidente che la James si annoi nello scrivere. Poiché le parti più congeniali alla storia vengono saltate misteriosamente, finendo poi come feti abortiti in un limbo che ti lascia lo scialbo desiderio di sapere cosa sia esattamente successo. Nel frattempo pure Alice, accompagnata dalle parti mai scritte, saltante balza in modo oscuro nel canale di scolo e si fa investire.
Poi c’è la questione dell’amicizia: dal sottotitolo pare che sia il fulcro di tutta la narrazione, ma leggendo quasi quasi ti viene da pensare che non sia così. È palese, e tale convinzione aumenta più ci si avvicina alla conclusione, che Alice non sia propriamente un’amica, sia per il suo carattere instabile e forse anche malato, sia per qualche oscuro motivo che la spinge ad essere così abominevolmente accanita contro la protagonista. Insomma, di riflessioni sull’amicizia non ce ne sono poi così tante, né esse vengono imposte al lettore: l’amicizia di Beautiful Malice è corrotta in ogni sua sfaccettatura, così come ogni rapporto della società moderna d’altronde, e quindi si è spinti a rigettarla in un angolo e a non pensarci più di tanto.
L’amicizia, ovvero il sottotitolo di sfondo, dovrebbe giocare un ruolo importante. Si legge “L’amicizia può uccidere”. Ma se volete la cruda verità, questa gioca l’ultimo ruolo della nostra amata soap-opera, una base musicale in sottofondo che pare allietare il lettore, quando invece è proprio questa che ne induce a far attecchire il fuoco al romanzo.
Alice Parrie, dall’alto, saluta.
E da che la tacita e timida Katherine voglia mantenere il silenzio sul suo oscuro passato, sapendo che questo l’avrebbe potuta portare in luoghi sconosciuti, incurante spiattella comunque tutto stravolgendo il suo carattere drasticamente, in maniera a dir poco irreale. D’altro canto si vive in un mondo onirico, dove il viaggio può portarti alla scoperta di nuove cose, tipo l’amicizia che… ehm.. è talmente ripugnante che la considereremmo un obbrobrio all’essere, perché è qui che l’animo umano si rende ingenuo… ma ingenuo lo si può essere fino a un certo punto, e gli eccessi fanno sempre male. Invero l’eccesso di Katherine viene pagato amaramente.
Lo stile della James è semplice, come si addice a uno scritto in prima persona dal punto di vista della giovane Katherine. Le frasi sono nette e brevi, permettono una lettura veloce, cosa che fa scorrere il libro anche quando la trama può apparire piuttosto statica sul livello narrativo.
Il libro è molto dialogato, e forse questo è un pregio del romanzo, perché non annoia. Però le mancanze si fanno notare anche qui. Sembra quasi che i personaggi abbiano tutti la stessa voce, o perlomeno lo stesso modo di parlare, così come le espressioni dei volti paiono prese con lo stampino. Questo perché troviamo espressioni giovanili in bocca a una madre di mezza età, e sempre dagli adulti traspare un linguaggio eccessivamente confusionario. Lo stesso che per di più viene usato da alcuni ragazzi ubriachi, la cui unica caratteristica che aiuta a distinguerli da altri è che essi hanno una voce “lenta e impastata”, come se stessero cercando di ingoiare… nutella?
Inoltre, tutt’a un tratto, si può incappare in termini eccessivamente eleganti e complessi per la situazione, che stonano con tutto il resto. Non si pretende che l’autrice sappia dare una sfumatura diversa a ogni parlata dei personaggi, ma che almeno riesca a distinguere le fasce di età e affibbiare un lessico più adatto all’evenienza.
Un altro aspetto fastidioso è la punteggiatura, usata malamente nonostante ci troviamo ad avere a che fare con periodi semplicistici. Perché la James frammenta osticamente le frasi. Mette virgole che non avrebbero il minimo bisogno di rimanere in quella valle già fin troppo occupata, e potrebbero benissimo andare a scorrazzare da altre parti. Verso luoghi affascinanti e alquanto inesistenti.
In compenso le descrizioni sono decenti, non perfette, certo, ma nettamente migliori rispetto a quelle di altri libri. Del resto Chesy non pretende mica che gli si descriva il bozzolo sul lobo dell’orecchio, ma viene il dubbio, vedendo che la James descrive la sensazione di avere un bozzolo sulla nuca, duro come una pietra ma che si scioglie come zucchero dopo pochi attimi. E quindi visi e luoghi prendono piacevolmente sembianze accurate.
Parte della trama è facilmente intuibile, non tanto dalle anticipazioni esplicite che da la stessa narratrice, ma dall’esposizione dei fatti, e infine un po’ ti soffermi a chiederti come alcuni personaggi abbiano potuto essere così ciechi. D’altro canto, ci sono lassi di tempo in cui Rebecca James salta subito alle conclusioni, lasciando la narrazione in un limbo in cui non ti resta che chiederti cosa sia successo nel frattempo, e perché l’autrice non ne abbia parlato, sebbene potendo liquidare il tutto anche solo con una frase sbrigativa ma d’obbligo. Il romanzo è poi diviso in due parti, la prima molto più lunga della seconda, e notando la brevità di esso mi pare una scelta totalmente assurda e priva di significato. Ci sarebbe stata molta meno confusione rendendo il tutto un unico manoscritto, dati i capitoli a loro volta brevi e capaci di fornire armoniosità alla storia da soli.
Ci troviamo in diversi piani di narrazione, che si avvicendano di capitolo in capitolo, in cui seguiamo tre periodi di vita della protagonista: la sera dell’uccisione della sorella, il presente (molto offuscato) e il passato della cosiddetta “rinascita”, in cui si narra tutta la vicenda della fatale amicizia con Alice. Passato che occupa gran parte della narrazione rispetto agli altri due livelli. Leggendo, la Zia ha avuto il dubbio che prima o poi l’autrice avrebbe combinato qualche pasticcio, perché proseguendo nella lettura le pareva logico che da un momento all’altro, di capitolo in capitolo, sarebbe finita a confondersi e a non distinguere più se stesse leggendo del passato, del presente, del futuro. Ma deve dire che, con piacere, così non è stato, benché alcuni tratti possano apparire egualmente vacillanti come un ponticello di corda su un baratro oscuro.
Il romanzo è anche sconclusionato. Lascia alla tua fervida fantasia il gusto di cosa sarebbe accaduto dopo, dopo l’ultima frettolosa pagina. Quella che trae infatti non è una vera conclusione. Per carità, con dei personaggi così idioti, che si gettano nel canale di scolo o nel mare in tempesta, o lasciano scolare di birra la sorella quattordicenne, cosa si può pretendere? Almeno il piacere di non concludere atto o pensiero glielo dovete dare. E così finisce il libro, non capendo nitidamente quale sia il vero pensiero di Katherine. Personalmente lo stregatto Chesy, nel prologo, è riuscito a diagnosticare che la protagonista soffre di paranoia ed è affetta da delirio persecutorio, dove vede la Crudelia Demon della sua vita apparire al supermercato vendendole alte dosi di veleno, o in riva al mare mentre usa il suo corpo come pistola per macinarle il cuore. Ma questo può anche rimanere, visto che sono dei personaggi psicologicamente approfonditi.
Un plauso alla copertina, anche stavolta formidabile, è dovuto. La scritta da cui si dipartono i fili spinati attrae, è un’idea originale che t’avvinghia. Il nero scuro della versione italiana, o in alternativa il rosso (appartenente a quella britannica) fanno pensare alla bellezza della malignità in maniera contorta. Quasi attrae il fatto che il male possa avere qualcosa di bellissimo in sé, e alla fine, se ci si sofferma, non è poi tanto sbagliata come concezione. Peccato che qui la Bellezza sia Alice, e la malignità sia semplicemente la sua pazzia crudele. Un’interpretazione un po’ deludente di un concetto così alto.
Ciò che non torna è davvero il bisogno di tentare il suicidio più volte, e dopo ridere di questo, perché è forse questo che ne resta del titolo. La malizia di Alice, la sua torbida follia, crudele e spietata, assurdamente ambigua, che porterà a conclusioni affrettate, le quali dovrebbero fungere da colpo di scena che in realtà non è. Per questo il romanzo risulta piatto ed infine la domanda “si può essere felice di una morte?”, ritorna inspiegabilmente col prologo. Le sorelle Boydell svaniscono via, la felicità non è la morte della sorella perfetta.
«Non ci sono andata al funerale di Alice. Ero contenta che fosse morta.»
È la morte di chi ti ha distrutto la vita che ti rende felice, ma non è forse vero che senza la persona della cui morte ora sei felice non avresti mai compiuto le cose che ora ti stanno più a cuore?
Voto: 2 cappe-code e mezzo
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